Covid-19: la paura resta alta, ma crolla la percentuale di italiani “ingaggiati” nella lotta contro il virus
Health
La percentuale di italiani che si sente “ingaggiata” nella lotta contro il virus è crollata dal 26% al 6% e, parallelamente, le persone che si sentono impotenti ed incapaci di prevenire rischi di salute sono più che raddoppiate (dal 12% al 29%). Sono alcuni dei dati e degli insight messi in luce dall’ultima rilevazione condotta dell’EngageMinds HUB presentati nel corso del webinar “Un anno di Covid 19” da Guendalina Graffigna, Serena Barello e Mariarosa Savarese del Centro di ricerca e commentati poi da Claudio Bosio, presidente del Comitato scientifico di EngageMindsHUB, Lorenzo Morelli, direttore del Distas della Cattolica, Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e Andrea Ghiselli, presidente di SISA.
«Una situazione così preoccupante non si può facilmente imputare a noncuranza o a indifferenza rispetto a Covid-19, perché nel contempo gli italiani che si sentono a forte rischio di contagio sono incrementati dal 30% al 47% della popolazione italiana – sottolinea la professoressa Guendalina Graffigna, direttore dell’EngageMinds Hub dell’Università Cattolica, campus di Cremona –.
Il problema sta piuttosto nel senso di inefficacia personale, di perdita di senso circa alcune misure preventive e del venir meno di un’alleanza con le istituzioni».
Insomma: una sorta di “confusione” comportamentale che – in alcuni casi – porta a delegare le azioni di prevenzione della salute.
Per molti mesi la sola strategia di contenimento dei contagi è stata quella comportamentale – prosegue Graffigna – tanto che a tutti i cittadini sono stati richiesti cambiamenti importanti nel loro modo di vivere e di comportarsi. E dunque il coinvolgimento attivo delle persone nella lotta alla pandemia è da sempre stato visto e appellato come fondamentale. Purtroppo, però, vediamo che nel tempo le persone, anziché rafforzarsi in questo ruolo attivo, hanno aumentato il senso di fatalismo e la delega al sistema».
«I dati ci dicono come questo virus sia iniquo evidenziando alcune fragilità endemiche delle nostre società – evidenzia Serena Barello, responsabile dell’Area Health dell’EngageMinds HUB. In particolare, la quota dei «disingaggiati» è aumentata del 30% da marzo 2020 a marzo 2021, con picchi di sofferenza sperimentati soprattutto da donne e anziani. È fondamentale, perciò, lavorare per ridurre le diseguaglianze, promuovere engagement ed educazione sanitaria ad ampio spettro e per proteggere la salute di tutti per questa emergenza e per quelle che verranno».
«La ricerca ci mostra che anche nella relazione con le aziende e con i principali attori di questa pandemia il cittadino italiano è in bilico tra la voglia di partecipazione e sentimenti di profonda preoccupazione – spiega Mariarosaria Savarese, responsabile dell’Area Food del Centro di ricerca della Cattolica. I risultati del monitoraggio ci mostrano però spiragli positivi. Per questo è importante lavorare per ricostruire le relazioni che questa pandemia sta mettendo a dura prova».
«A inquietarmi è la riduzione di fiducia verso la scienza, il sistema sanitario e le istituzioni – sottolinea Pregliasco – di fatto non siamo ancora usciti dalla pandemia. Sarebbe auspicabile un ‘galateo della prevenzione’».
In merito all’l’impatto che il Covid19 ha avuto sui comportamenti di salute e sui consumi alimentari, Andrea Ghiselli ha evidenziato la necessità di far leva sulla consapevolezza delle scelte alimentari «Si mangia di più, tre volte al giorno, mentre prima il pasto del mezzogiorno era fuori casa e ridotto e si fa meno attività fisica; è aumentata l’anoressia tra i giovani e gli adulti sono aumentati di peso. Bisogna riappropriarci del desiderio di alimentarci in modo salubre».
È cambiato anche il nostro carrello della spesa, come ha fatto notare il microbiologo della Cattolica Lorenzo Morelli: «Abbiamo registrato un’impennata dei prodotti a lunga conservazione dopo anni di riscoperta dei prodotti freschi e del chilometro zero. Noi in questo periodo abbiamo cercato di mantenere un approccio di servizio al territorio; dobbiamo riformulare gli alimenti perché i consumatori chiederanno cibi diversi: che aiutino il sistema immunitario ed altro. Dobbiamo dare alimenti che aiutino la salute e la composizione nutrizionale».
«È essenziale – ha sostenuto Claudio Bosio – ricominciare a riprogettare il proprio futuro, con una buona comunicazione sociale che aiuti le persone a dare senso a quello che stanno vivendo e a ritrovare spazi psicologici per guardare avanti».
UN ARTICOLO DI
Sabrina Cliti
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